Graaande … prof !
Euro 10
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sul sito: info@edizioniets.com
“(…) Mentre ascolto con una noia
indefinibile i loro conati fonetici, guardo l’ora e penso a quei
film americani, quelli, per intenderci, dove si vede il prof. che
parla di Whitman ad una classe multietnica che lo ascolta in
religioso silenzio. Ecco, lui ha parlato per tre secondi e poi
DRIIIN … suona la campana e lui congeda tutti raccomandandosi che
si preparino per l’indomani e tutti, in maniera composta e
deferente, lo salutano ed escono disciplinatamente dall’aula… Good
morning teacher…good morning mister Smith … Qui invece la
campanella non suona mai e quando suona si verifica un evento
strano, simile alla dissolvenza; un secondo prima ci sono, dopo
scomparsi…dissolti, sfumati, desaparecidos… (…) Motorini che
sfrecciano, urla, cachinni, orde di barbari che fuggono dopo il
saccheggio, sgommano, impennano, smanettano.” (da “Graaande …prof!” pag. 26)
Ecco, Graaande …prof ! è
la narrazione della piccola Odissea di un prof. nel bronx della
scuola e negli ingorghi della vita. Trasgressivo e irriverente,
Oreste è un ex in tutto, è un
reduce a cui tutto va stretto e a cui tutto va male, insomma, un
seguace di Madonna Sfiga.
Ma in questa situazione, a tratti tragicomica, saprà anche divertirsi e conferire al suo sarcasmo e alla sua amara ironia la parvenza di una buffa saggezza naive. Nella ormai ricca geografia di romanzi dedicati al mondo della scuola dall’indimenticabile “Registro di classe” di Sandro Onofri all’ultimo “Perché non farò mai il professore” di Gianfranco Giovannone, passando per Starnone e Lodoli, questo romanzo di Pardi presenta delle novità perché si cala nel privato di un prof, un doceolitico sui cinquanta, evidenziandone tutta la fragilità esistenziale fatta di nostalgie per una sinistra in cui non si riconosce più, di crisi d’identità nei confronti di una società omologata e schizofrenica, di amore odio per un lavoro in cui continua a credere, nonostante tutto. E quindi Oreste, un po’ Cecco Angiolieri, un po’ Amleto, somiglia molto in questo ai suoi studenti, cinici, disillusi, demotivati, scettici; vive con un cane di nome Fidel e un gatto che si chiama Ernesto, non ha certezze, non da’ soluzioni perché è fragile e incasinato come tanti ragazzi, con la differenza che lui è un Prof. Ma, e qui sta la novità, questo “nichilismo”, paradossalmente, può diventare un terreno d’incontro, un luogo dove trovare la voglia e la fantasia di raccontarsi delle storie. Ecco perché, a un certo punto, Oreste chiede ai suoi lettori (e pensa ai suoi studenti) di continuare la storia che lui non sa più come portare avanti (e fornisce a loro la sua email , che poi è quella, vera, dell’autore) di diventare insomma interattivi, strizzando l’occhio un po’ ai minimalisti e molto a Calvino che nel suo “Se una notte d’inverno …” sosteneva che a margine di una storia c’è un universo di storie possibili e tutte, più o meno, verosimili. E forse, nella voglia di raccontare e leggere storie, sarà possibile scoprire di nuovo il gusto della conoscenza e quindi della cultura, intesa come desiderio di comunicare anche al di là degli stretti confini di un’aula.
Insomma, a differenza di altre narrazioni sulla scuola, spesso parodistiche, caricaturali, a tratti cabarettistiche, questo romanzo, caratterizzato da un ritmo veloce e da una scrittura a tratti “visiva”, quasi fumettistica, mette in scena in modo tragicomico una sorta di nuovo Don Chisciotte che cerca disperatamente di trovare una soluzione a quel corto circuito comunicativo che ormai da tempo caratterizza i rapporti tra docenti e discenti.
Daniele Luti
Note:
Pier Antonio Pardi insegna lettere all’ Itas “Gambacorti” di Pisa
Daniele Luti insegna lettere all’ ITC “S. Pertini” di Lucca
E' pieno di rabbia il collega che viene a
raccontarci l’ingiustizia subita. Ci adoperiamo per aiutarlo:
occorre suggerirgli un' azione significativa ed efficace. Ma,
non appena abbiamo concluso le nostre faticose ricerche sulla
normativa e siamo pronti con i nostri suggerimenti, la rabbia
è svanita, o è stata inghiottita e nulla di
concreto sarà fatto. Perché? Forse perché
l'idea di reazione al torto subito fa scorrere rapide nella
mente, senza che ce ne rendiamo conto, le stesse immagini di
quando eravamo bimbi: gli do una spinta, gli do una calcio, gli
spacco il muso... Immagini violente, che non si confanno ad una
persona ben educata: sappiamo che la violenza è una cosa
cattiva, non si fa; ci ritraiamo immediatamente dall'idea di
reagire e restiamo con la nostra frustrazione.
La proposta della nonviolenza è quella, prima di tutto, di separare l'azione ingiusta dall'attore. E' contro l'ingiustizia che agiremo, non contro l'autore dell'ingiustizia. Con lei/lui cercheremo la relazione, il dialogo e lo scopo sarà di persuaderlo. In queste condizioni il conflitto non può più spaventare una persona ben educata. E la mente liberata dalle immagini violente svilupperà tutta la sua creatività per trovare una soluzione positiva al conflitto, “per condurre un buon conflitto per la trasformazione sociale e di noi stessi”.
Il saggio di Andrea Cozzo, studioso palermitano
che coniuga l'interesse per l'antichità classica con
quello per il pensiero della nonviolenza, può essere un
buon manuale per chi vuole avvicinarsi ad un pensiero e ad una
pratica di superamento del conflitto in cui le parole chiave non
sono quieto vivere, mitezza, pazienza ma sono “strategia disciplina e coraggio”, e sono
usate per definire il “combattente
nonviolento”.
Altre parole chiave della nonviolenza sono ascolto attivo, comunicazione. Una buona comunicazione è uno strumento essenziale per affrontare un conflitto: “In un conflitto, anche quando riteniamo di doverci opporre interamente al nostro avversario, il nostro dovere è di opporci mantenendo la relazione: perchè il satyagraha (forza della verità o, meglio, fermezza nella verità) sia tale, e non pretesa o ostinazione, duragraha, è necessario che sia mantenuto lo scopo di persuadere l'avversario, anziché costringerlo.”
Chi lavora nella scuola troverà un altro motivo di interesse nel terzo capitolo, “La nonviolenza nella cultura”. Violenza e nonviolenza sono anche nella cultura: la scienza, l'educazione, l'informazione sono ambiti in cui si può praticare la nonviolenza così come si può esercitare violenza. Il problema della relazione tra mezzi e fini, cruciale nel pensiero nonviolento, si presenta immediatamente quando si affronta il tema della scienza: “L'abituale considerazione che parte della scienza nell'immediato funziona mi pare del tutto analoga a quella che, nell'immediato, la violenza funziona: questo è un ragionamento che ignora l'attenzione ai mezzi, l'unica cosa di cui abbiamo una certa padronanza e che, per questo stesso concentrarsi sul risultato, trascura la ricerca delle alternative. Se queste ultime non si trovano, ciò è dovuto ad un circolo vizioso: non si trovano perché non si cercano”.
Nel campo dell'educazione invece il problema dell'ubbidienza si intreccia con quello dell'ascolto:”Proprio nel caso del rapporto con i bambini viene fuori con chiarezza che l'ubbidienza che a loro siamo soliti richiedere è nient'altro che un comodo esercizio del nostro potere e della nostra forza che ci consentono di risolvere immediatamente a nostro favore un conflitto invece di ascoltare le loro ragioni o, nel caso di comportamenti realmente pericolosi, restare loro vicino se, non persuasi, si 'ostinano'”.
La bibliografia, molto ricca, offre la possibiltà di approfondire i numerosi temi presentati.
Leila d'Angelo